Jessica Comi

Cosa mettere in valigia?

Bologna, dicembre 2011

Incontro Fabio Pancaldi, dell’Associazione “GOCCE”, il Dott. Angelo Nyamtema, Direttore dell’ospedale di Ifakara Tanzania, e il Dott. Fassil, chirurgo presso il SFRH.
Tra i vari argomenti discussi durante l’incontro c’è anche la mia partenza per Ifakara. L’intento è un periodo di volontariato e di pratica come infermiera di sala operatoria. Da parte del Dott. Nyantema e del Dott. Fassil viene confermata la disponibilità ad accogliermi nel loro ospedale. La partenza è programmata per febbraio. La mia permanenza per un periodo di 6 mesi.
Le prime parole di Swahili, che hanno sentito le mie orecchie, sono state “Karibu Tanzania, Karibu Ifakara”, parole che mi hanno riempito lo sguardo di sorrisi e che mi hanno seguita fino a casa con la certezza che sarei partita presto.
Quel giorno è iniziata la mia collaborazione con l’Associazione “GOCCE” e il SFRH.

Mi presento. Sono Jessica, giovane infermiera appena laureata.
Subito dopo la laurea, mi sono impegnata nella ricerca di un’associazione che mi aiutasse a realizzare il mio desiderio: partire per l’Africa per fare un’esperienza di volontariato in ospedale.
Per questo, mi sono imbattuta nell’Associazione “GOCCE” e ho conosciuto Anna Fin, presidente dell’Associazione, e Fabio Pancaldi, entrambi subito disponibili ad ascoltare i miei progetti e il mio entusiasmo.
Mi hanno presentato la loro Associazione e illustrato il lavoro che portano avanti da anni con impegno e dedizione, a sostegno dell’ospedale di Ifakara. E insieme abbiamo programmato il mio periodo di volontariato, con toni e gesti familiari quanto quelli che, dopo un anno di collaborazione, ci legano ancora.

Gennaio 2012

Manca un mese alla mia partenza.
Incontro per la seconda volta Anna e Fabio, ai quali si aggiunge Francesco, referente dell’Associazione presso Ifakara.
Le mie domande sono tante, le paure tante altre, ma Francesco, che vive a Ifakara da molti anni, mi rivolge poche parole. Con fermezza e animo africano mi dà solo i consigli strettamente necessari per la partenza. Per tutto il resto “Akuna shida, nessun problema” mi dice, le seconde parole di Swahili che sentono le mie orecchie.
La partenza si avvicina. Tanti i preparativi, i dubbi, i consigli, gli auguri.
Starò via 6 mesi, cosa mettere in valigia? Vestiti, maglie, scarpe…. risolvo i miei dubbi portando con me: 500g di entusiasmo, 250g di coraggio, 250g di pazienza, 150g di calma, 150g di professionalità, 100g di fermezza e un sorriso per prepararsi al viaggio.

Prima di partire Anna e Fabio mi forniscono tutti i contatti e le informazioni utili per il mio arrivo in aeroporto, anche se devo ringraziare la disponibilità di Francesco che è venuto direttamente a prendermi all’aeroporto di Dar es Salaam.
La prima cosa che incontro dell’Africa è il caldo. Avevo lasciato alle spalle Bologna con 0 gradi e tanta neve. La seconda è il volto di Francesco. Con lui ho girato per la città di Dar es Salaam, a risolvere tutte le faccende che è necessario compiere all’arrivo in un Paese straniero non europeo: il cambio dei soldi, l’acquisto di una tessera sim per il cellulare e altre piccole burocrazie. Poi, senza perdere tempo, ci caliamo nella vita africana.

Per raggiungere Ifakara, prendiamo da Dar es Salaam l’autobus. Circa 9 ore di viaggio con arrivo in parrocchia, dove alloggerò per tutto il mio periodo a Ifakara. Qui mi sistemo in una stanza confortevole, che soddisfa le necessità di uno straniero appena arrivato in città. Per tutto il resto ci sarà tempo: “pole pole, con calma”, come imparerò poco dopo in Swahili.

Con Francesco vado subito in giro per Ifakara. Mi presenta i suoi amici, mi fa conoscere le strade e i locali della città e, soprattutto, mi insegna le prime parole di Swahili. Dopo due giorni andiamo in Ospedale. Qui conosco tutti, infermieri e medici con cui lavorerò nei mesi successivi, e vedo i reparti e i vari uffici che presto mi diventeranno familiari. Francesco mi spiega come muovermi, mi illustra chi sono le autorità e, soprattutto, mi aiuta a fare il visto, il mio permesso di lavoro.
Inizia così la mia avventura africana, che mi porterà a stare lontana dall’Italia più dei 6 mesi previsti.

Primo giorno in sala operatoria, una Mzungu tra Tanzaniani
L’accoglienza è stata bella, anche se le prime difficoltà da affrontare sono state molte: la lingua, i nomi dei miei colleghi difficilissimi da ricordare come per loro il mio, che hanno trasformato da Jessica in Jesca.

All’inizio ero solo la Mzungu arrivata lì per fare un periodo di volontariato. Non so come spiegarlo, ma l’impressione che si riceve quando si viene a lavorare in un ospedale come questo è che noi europei abbiamo la presunzione di poter insegnare loro sempre qualcosa, di essere più bravi dei locali. Dunque, nonostante la carineria dei Tanzani, le prime relazioni sono sempre offuscate da questa grande distanza e dal diverso colore della pelle, che ti fa riconoscere come un bianco (un Mzungu) tra neri.

Non è passato molto tempo da quando non sono stata più chiamata Mzungu, ma solo Jesca. Il mio primo gradino verso l’integrazione con la gente tanzana, un popolo caloroso e colorato di vita.

Ed è proprio con questa gente che animo le mie giornate post ospedale e i miei weekend. Le preoccupazioni e le tensioni del lavoro le allontano ogni pomeriggio, con una soda fresca nei bar locali, rilassandomi insieme a loro, chiacchierando e guardando il mondo che si muove senza troppo stress.

Ifakara mi ha accolto a braccia aperte, l’Associazione mi ha supportato in tutto ciò di cui avevo bisogno, e Francesco ha acquisito il ruolo di maestro e soprattutto di buon compagno di avventure.

Febbraio 2013
Ora, trascorsi i 6 mesi di volontariato, mi ritrovo nuovamente a Ifakara con un contratto da infermiera della durata di un anno.
L’Africa è difficile da raccontare, l’unica cosa che mi sento di dire è “Karibu Tanzania, Karibu Ifakara”.

Navigazione post

Potresti essere interessato a...

Nessun commento ancora, essere il primo!

Commenti

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.