Lucia Branchini e Alessia Alberici

L’ospedale SFRH dove abbiamo lavorato per tre mesi grazie all’associazione Gocce, è gestito completamente da personale Tanzaniano, riceve aiuti da donazioni estere, ma mantiene comunque una sua indipendenza ed, in un certo senso, autonomia. Questo è uno dei suoi maggiori punti di forza.

Il SFRH è un ospedale molto grande, dotato di svariati reparti. Per quanto riguarda il reparto per la salute materno-infantile, oltre al grande reparto di pediatria ha un reparto ostetrico, la neonatologia, la sala parto, la sala operatoria ginecologica, un reparto di degenza ostetrica ed il “Tumaini”. Questo è un luogo speciale, al quale lo stesso personale da una grandissima importanza, un luogo di incontro e condivisione tra donne, mamme ed ostetriche. Di norma le mamme vi accedono a partire dalla 38^ settimana, oppure se sono presenti patologie o se sono necessari controlli seriali. Rimangono ricoverate fino al momento del parto perché il ritorno a casa comporta andare troppo lontano dall’ospedale o dal dispensario più vicino.

Il SFRH è infatti uno degli ospedali di riferimento della regione del Kilombero, gli ospedali ed i dispensari non sono molti e le mamme devono fare viaggi lunghi ed estenuanti per poter partorire in una struttura sanitaria adeguata. Il livello di malnutrizione e le condizioni di salute rendono necessaria un’assistenza sanitaria più accorta ed il governo sta lavorando molto per sensibilizzare la popolazione su questa necessità.


Al suo interno il SFRH ha un’università Tanzanina (di Medicina, Infermieristica ed ostetrica) e viene data molta importanza alla formazione di nuove figure professionali. Vengono effettuati briefing settimanali ai quali partecipa tutto il personale medico dell’ospedale e le caposala dei vari reparti con convinzione e passione. Vengono revisionati i casi più importanti della settimana, il bilancio delle degenze, le statistiche, l’analisi dei decessi e vengono proposte attività di formazione ed aggiornamento.

L’Africa e’ questo e quello: e’ l’unione di medici laureati che discutono quale sia il metodo migliore da sviluppare,il farmaco migliore da usare, ma e’ anche l’impossibilita’ alle volte di arrivarci poi all’ospedale.

Le mamme tanzaniane, accompagnate dal compagno, dalla mamma o da un parente, devono fare viaggi di chilometri e chilometri, spesso anche a piedi per raggiungere l’ospedale.
Non di rado capita che arrivino in sala parto con il bambino fra le braccia appena nato e la placenta in un sacchetto.

La nascita assistita da levatrici tradizionali è ancora molto diffusa, anche se tuttavia è molto difficile effettuare delle stime reali ed attendibili a riguardo.

L’evento nascita comunque rimane un evento vissuto tra donne ed il grande rispetto della sua sacralità rimane alla base della pratica di molte ostetriche. Tuttavia l’alto livello di medicalizzazione portata dagli europei ha prodotto, purtroppo, una progressiva volatilizzazione del rispetto della nascita, dei tempi, che la cultura tribale porta inserita nei propri fondamentali principi, guardandola con molto rispetto.

Mama Kassala e Mama Ngapemba sono le due ostetriche più esperte della sala parto. Svolgono la loro professione da una quindicina di anni (sono ostetriche diplomate all’università che c’è all’interno del SFRH) con estrema professionalità, serietà, impegno, ma soprattutto rispetto e consapevolezza. Un tipo di consapevolezza che spesso manca anche a noi ostetriche europee. Ogni giorno tra mille difficoltà, carenza di mezzi, materiale e risorse umane svolgono la loro missione con pazienza e dedizione, con una forza ed una calma quasi sconcertanti.

Fare la volontaria in Africa non significa affatto partire per dare un contributo fondamentale allo sviluppo del paese, dell’ospedale, salvare delle vite, cambiare il mondo. Significa invece immergersi totalmente e rispettosamente in una cultura ed in un mondo totalmente diverso dal nostro, significa conoscere persone, sforzarsi di capire, ribaltare completamente le proprie aspettative, imparare una nuova lingua, ballare musiche improbabili, cercare di apprendere il più possibile, accettare lo scambio ed infine, con molta umiltà, dare il proprio piccolo contributo.

Arrivate alla conclusione che il lavoro all’interno dell’ospedale è stata una delle esperienze più forti, emozionanti e difficili che professionalmente ed umanamente ci siamo trovate ad affrontare, penso che tutte siamo d’accordo nel dire.. lo rifaremmo! E nonostante rimarremmo sempre le wazungu.. ci sentiamo di dire dal profondo del nostro cuore.. ASANTE SANA TANZANIA!

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